Carlo Petrini, fondatore di Slow
Food, e Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, hanno
recentemente chiesto che le etichette del cibo in vendita nei
supermercati in Italia riportino anche i paesi da cui gli ingredienti
sono stati importati. Questo in reazione alle polemiche scoppiate
quando si è scoperto che Eataly, supermercato di buon cibo
'made in Italy', vende 'pasta italiana' fatta con grano importato dal
Canada e da altri paesi.
Tutto questo è sacrosanto, perchè più
sappiamo del cibo che mangiamo e meglio è. Però colpisce anche che
tutta l'attenzione si concentri sull'origine geografica degli
ingredienti, che senza dubbio è importante ma non è l'unico
problema. Per esempio, da qualche tempo, la carne e il pane
confezionati dagli stessi supermercati che poi li vendono non hanno
più gli ingredienti sull'etichetta. Spariti. Per trovarli bisogna
andare a leggersi il 'libro degli ingredienti', che di solito si
trova dall'altra parte del supermercato, che devi chiedere a qualcuno
del personale o che, come mi è capitato in Inghilterra, dove vige la
stessa regola, non si trova.
La sparizione degli ingredienti non ha
suscitato le stesse polemiche della sparizione della loro origine
geografica, ma è ugualmente, se non maggiormente, importante. Le
carni, specialmente quelle lavorate come salsiccia, hamburger e
wurstel, contengono spesso nitriti e altre sostanze giudicate in
grado di causare, o almeno incoraggiare, alcune malattie. Se poi la
carne coi nitriti venga dalla Germania o sia made in Italy a me
personalmente sembra un problema minore. Lo stesso accade col pane,
che a volte contiene strutto o altri grassi animali che sono più
dannosi di quelli vegetali. Ma niente, il problema più importante
sembra quello della provenienza, come se il fatto di essere italiano
desse al cibo una patente di assoluta purezza e genuinità.
Francamente, a me non sembra, anche
alla luce dei continui allarmi che riguardano il nostro cibo.
Personalmente, tra una pasta fatta con grano canadese e una prodotta
con grano della terra dei fuochi, preferirei la prima. E questo
cavalcare il cibo made in Italy a tutti i costi, alla fine, mi sembra
un modo semplice e a costo zero per rinfocolare l'identità
italiana, in crisi non certo per colpa del grano canadese.
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