Showing posts with label Slow Food. Show all posts
Showing posts with label Slow Food. Show all posts

Monday, 3 October 2016

Cosa ci insegnano Slow Food e il Salone del Gusto 2016


Spesso criticato per il suo conservatorismo e per la sua attenzione al passato più che al presente o al futuro, Slow Food quest'anno ha dato a tutti una bella lezione, dimostrando di capire i trend sociali e culturali emergenti meglio di chiunque altro.

Sociologi ed esperti di fenomeni culturali, si veda ad esempio questo bel libro di Bonomi,Masiero e Della Puppa, ci spiegano come oggi ogni cosa stia cambiando e come la società digitale comporti nuovi modi di produzione, commercializzazione, consumo e comunicazione. Questi studiosi ci dicono che il vecchio sistema lineare di produzione, ma anche di scambio sociale, sta lasciando il posto a un sistema 'circolare'. Tutto questo si traduce nella scomparsa di un unico 'emittente', di una fonte di sapere affidabile a cui tutti si rivolgono. Le fonti, oggi, ognuno se le sceglie a suo piacimento, non solo costruendo reti di sapere con le mille fonti che la tecnologia e internet mettono a disposizione, ma anche partecipando attivamente ad esse, diventando produttore di sapere in prima persona.

Purtroppo, il mondo del cibo, soprattutto in Italia, sembra impermeabile a questo cambio di paradigma e continua a cullarsi su allori che, se non adeguati al presente e non proiettati verso il futuro, si dissolveranno nel giro di qualche anno.

Un po' a sorpresa, è stato Slow Food a muoversi con coraggio. L'edizione 2016 di Terramadre Salone del Gusto è stata infatti totalmente diversa dalle diciannove precedenti. La rassegna non si è più tenuta al Lingotto, 'luogo unico del sapere' dove negli anni scorsi tutti andavano a 'imparare' qualcosa in fatto di cibo. L'evento è invece diventato un happening diffuso in tutta la città di Torino. Il Parco del Valentino, via Roma, piazza San Carlo, il Borgo Medievale, la Reggia di Venaria, il Teatro Carignano, Palazzo Reale, il quartiere multietnico di San Salvario e molte altre zone della città sono diventate piccole fonti di sapere che ogni visitatore poteva inserire nel proprio personale percorso. Insomma, ogni visitatore ha potuto costruire un proprio network di saperi attraverso la città, nella maniera teorizzata dal libro di Masiero & C. In più, molti visitatori hanno anche preso parte all'evento in maniera attiva, grazie a workshop e laboratori in cui hanno potuto misurare lo stato del proprio rapporto con il cibo.

Insomma, mentre i visitatori del lingotto erano ancora 'consumatori' o ancora peggio 'spettatori' all'interno dei padiglioni fieristici, i visitatori del Salone diffuso si sono sentiti qualcos'altro. Non hanno pagato il biglietto d'ingresso (a parte qualche iniziativa speciale) e hanno partecipato in maniera più attiva (ma sul ruolo attivo dei visitatori si può fare molto di più).

Slow Food ha, ancora una volta, aperto una strada. Adesso tocca agli altri capire che anche il cibo nei prossimi anni cambierà, e cambierà il modo in cui gli esseri umani lo producono, lo lavorano, lo consumano, lo comunicano e, cosa sempre più importante, lo smaltiscono. Dimentichiamo le vecchie modalità lineari, e prepariamoci tutti ad avere a che fare con logiche di rete, ruolo attivo del consumatore, circolarità e benessere sociale. Il nuovo è già qui, prendiamo tutti esempio dal Salone del Gusto 2016 e, perchè no, facciamo ancora di più.

Saturday, 17 September 2016

Viva il Cibo Made in Italy?


Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, e Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, hanno recentemente chiesto che le etichette del cibo in vendita nei supermercati in Italia riportino anche i paesi da cui gli ingredienti sono stati importati. Questo in reazione alle polemiche scoppiate quando si è scoperto che Eataly, supermercato di buon cibo 'made in Italy', vende 'pasta italiana' fatta con grano importato dal Canada e da altri paesi.

Tutto questo è sacrosanto, perchè più sappiamo del cibo che mangiamo e meglio è. Però colpisce anche che tutta l'attenzione si concentri sull'origine geografica degli ingredienti, che senza dubbio è importante ma non è l'unico problema. Per esempio, da qualche tempo, la carne e il pane confezionati dagli stessi supermercati che poi li vendono non hanno più gli ingredienti sull'etichetta. Spariti. Per trovarli bisogna andare a leggersi il 'libro degli ingredienti', che di solito si trova dall'altra parte del supermercato, che devi chiedere a qualcuno del personale o che, come mi è capitato in Inghilterra, dove vige la stessa regola, non si trova.

La sparizione degli ingredienti non ha suscitato le stesse polemiche della sparizione della loro origine geografica, ma è ugualmente, se non maggiormente, importante. Le carni, specialmente quelle lavorate come salsiccia, hamburger e wurstel, contengono spesso nitriti e altre sostanze giudicate in grado di causare, o almeno incoraggiare, alcune malattie. Se poi la carne coi nitriti venga dalla Germania o sia made in Italy a me personalmente sembra un problema minore. Lo stesso accade col pane, che a volte contiene strutto o altri grassi animali che sono più dannosi di quelli vegetali. Ma niente, il problema più importante sembra quello della provenienza, come se il fatto di essere italiano desse al cibo una patente di assoluta purezza e genuinità.

Francamente, a me non sembra, anche alla luce dei continui allarmi che riguardano il nostro cibo. Personalmente, tra una pasta fatta con grano canadese e una prodotta con grano della terra dei fuochi, preferirei la prima. E questo cavalcare il cibo made in Italy a tutti i costi, alla fine, mi sembra un modo semplice e a costo zero per rinfocolare l'identità italiana, in crisi non certo per colpa del grano canadese.