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Sunday, 4 December 2016

CucinaBarilla and how to re-define the 'Italian food' system


Italian version below

Sociological theories point out that each system continually renews itself through processes of inclusion/exclusion. On the one hand, elements previously excluded gradually become parts of the system; on the other hand, ex-dominant elements become redundant and slowly disappear. This is certainly true, but there are periods when social systems renovate themselves in deeper and faster ways, and this happens when the system needs a strong re-definition.
I believe that the system that we may call 'Italian food' is going through one of such periods of change. The system has been stereotyped (and idealized) for many years as concerning a kind of food that is totally extraneous to technology, pure, superior, and zero-miles. However, today, Italian food must deal with reality. Big (and also small) companies cannot produce food without technology; the scandal of terra dei fuochi has demonstrated that criminal organizations pollute the fields where it is grown; food from other countries is today more competitive than in the past; and the fairy tale of zero-mile food is losing its appeal. Thus, how to adjourn Italian food to be in line with the times, but without losing its well-known identity?
Barilla, one of the biggest Italian food companies, is taking a new, risky path. It is offering the Italian consumers a new idea of food, called CucinaBarilla. It consists of an oven with an optical reader, given on an extended loan; and of a series of products, called kits, from pizza to cakes, from bread to soups to risotto, sold in packages which also contain an electronic code. When you have the oven and one of the kits at home, you have only to put the electronic code on the package and the reader on the oven near each other. From that moment onwards, the oven knows what to do. Put the product in the oven and it will be ready shortly (according to the time it needs to be cooked).
The idea is certainly new in Italy. Actually, it resembles the scenes of a couple of dystopian science-fiction films, and it sounds like a blasphemy in the church of the Italian 'pure' food. However, the blasphemy is mediated by the ingredients. All the ingredients of these products, in fact, are simple, natural, essential, without colours, preservatives and additives. They perfectly mirror the Italian tradition. Thus, CucinaBarilla puts forward Italian tradition in a science-fiction context.
Will Barilla's attempt succeed? The mix of novelty and tradition is interesting, but it resembles a contrast rather than a combination. Perhaps, a softer match than the opposition tradition/dystopia would have more easily been digested by the Italians, usually conservative in terms of food. In the next months, we will know better. In the meantime, we will certainly see other attempts aiming to renew the system 'Italian food', and certainly I will write about them on this blog.

Molte teorie sociologiche dicono che ogni sistema si rinnova continuamente attraverso processi di inclusione ed esclusione. Da una parte, elementi esclusi in passato vengono accettati come nuovi; dall'altra, elementi che un tempo furono dominanti diventano secondari e poi, passo dopo passo, spariscono. Tutto ciò è certamente vero, ma bisogna anche dire che ci sono periodi in cui i sistemi sociali si rinnovano in maniera più profonda e veloce, quando questi sistemi hanno bisogno di una re-definizione più incisiva.
Credo che il sistema 'cibo italiano' stia attraversando un periodo simile. Il sistema, infatti, è stato stereotipato e idealizzato per anni come basato su cibo estraneo alla tecnologia, puro, superiore e a chilometro zero. Oggi, però, il cibo italiano deve fare i conti con la realtà. Aziende sia grandi che piccole non possono produrre cibo senza tecnologia; lo scandalo della terra dei fuochi ha dimostrato che il crimine organizzato inquina i campi dove i cibi sono coltivati; il cibo prodotto in altri paesi è intanto diventato più competitivo; e la favola del chilometro zero sta perdendo molto del suo fascino. Quindi, come aggiornare il cibo italiano per mettersi a passo con i tempi ma senza perdere la ben nota identità?
Barilla, una delle più grandi aziende alimentari italiane, sta facendo un passo in direzione del nuovo, ma anche un po' rischioso. Sta infatti offrendo ai consumatori italiani una nuova idea di cibo, chiamato CucinaBarilla. Si tratta di un forno con un lettore ottico, concesso in una sorta di comodato d'uso; e di una serie di prodotti, chiamati kit, che vanno dalla pizza alle torte, dal pane alle zuppe al risotto, venduti in delle confezioni che contengono un codice elettronico. Una volta che si ha sia il forno che uno dei prodotti, bisogna solo accostare il codice della confezione al lettore ottico del forno. Da quel momento in poi, il forno sa cosa deve fare. Basterà mettere il prodotto nel forno e il tutto sarà pronto in breve tempo, a secondo del tempo che ci vuole per cucinarlo.
L'idea è sicuramente nuova in Italia. Per la verità, somiglia ad alcune scene di film di fantascienza apocalittici, e suona come una bestemmia nella chiesa del buon cibo italiano. Però attenzione, la bestemmia è mediata dagli ingredienti, che sono semplici, naturali, essenziali, e senza coloranti, conservanti e aromi artificiali: quindi, perfettamente in linea con la tradizione italiana. In pratica, CucinaBarilla propone tradizione italiana in un contesto di fantascienza.
Avrà successo l'iniziativa della Barilla? Il mix di novità e tradizione è interessante, ma somiglia più a un contrasto che a un'accoppiata. Forse, un binomio più dolce e meno stridente dell'opposizione tradizione/fantascienza pessimistica sarebbe stato assimilato più facilmente dagli italiani, che di solito sono conservatori in fatto di cibo. Nei prossimi mesi ne sapremo qualcosa di più. Intanto, assisteremo ad altri tentativi mirati a rinnovare il sistema 'cibo italiano', e sicuramente questo blog darà conto dei più interessanti.

Saturday, 17 September 2016

Viva il Cibo Made in Italy?


Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, e Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, hanno recentemente chiesto che le etichette del cibo in vendita nei supermercati in Italia riportino anche i paesi da cui gli ingredienti sono stati importati. Questo in reazione alle polemiche scoppiate quando si è scoperto che Eataly, supermercato di buon cibo 'made in Italy', vende 'pasta italiana' fatta con grano importato dal Canada e da altri paesi.

Tutto questo è sacrosanto, perchè più sappiamo del cibo che mangiamo e meglio è. Però colpisce anche che tutta l'attenzione si concentri sull'origine geografica degli ingredienti, che senza dubbio è importante ma non è l'unico problema. Per esempio, da qualche tempo, la carne e il pane confezionati dagli stessi supermercati che poi li vendono non hanno più gli ingredienti sull'etichetta. Spariti. Per trovarli bisogna andare a leggersi il 'libro degli ingredienti', che di solito si trova dall'altra parte del supermercato, che devi chiedere a qualcuno del personale o che, come mi è capitato in Inghilterra, dove vige la stessa regola, non si trova.

La sparizione degli ingredienti non ha suscitato le stesse polemiche della sparizione della loro origine geografica, ma è ugualmente, se non maggiormente, importante. Le carni, specialmente quelle lavorate come salsiccia, hamburger e wurstel, contengono spesso nitriti e altre sostanze giudicate in grado di causare, o almeno incoraggiare, alcune malattie. Se poi la carne coi nitriti venga dalla Germania o sia made in Italy a me personalmente sembra un problema minore. Lo stesso accade col pane, che a volte contiene strutto o altri grassi animali che sono più dannosi di quelli vegetali. Ma niente, il problema più importante sembra quello della provenienza, come se il fatto di essere italiano desse al cibo una patente di assoluta purezza e genuinità.

Francamente, a me non sembra, anche alla luce dei continui allarmi che riguardano il nostro cibo. Personalmente, tra una pasta fatta con grano canadese e una prodotta con grano della terra dei fuochi, preferirei la prima. E questo cavalcare il cibo made in Italy a tutti i costi, alla fine, mi sembra un modo semplice e a costo zero per rinfocolare l'identità italiana, in crisi non certo per colpa del grano canadese.