Spesso criticato per
il suo conservatorismo e per la sua attenzione al passato più che al
presente o al futuro, Slow Food quest'anno ha dato a tutti una bella
lezione, dimostrando di capire i trend sociali e culturali emergenti
meglio di chiunque altro.
Sociologi ed esperti
di fenomeni culturali, si veda ad esempio questo bel libro di Bonomi,Masiero e Della Puppa, ci spiegano come oggi ogni cosa stia
cambiando e come la società digitale comporti nuovi modi di
produzione, commercializzazione, consumo e comunicazione. Questi
studiosi ci dicono che il vecchio sistema lineare di produzione, ma
anche di scambio sociale, sta lasciando il posto a un sistema
'circolare'. Tutto questo si traduce nella scomparsa di un unico
'emittente', di una fonte di sapere affidabile a cui tutti si
rivolgono. Le fonti, oggi, ognuno se le sceglie a suo piacimento,
non solo costruendo reti di sapere con le mille fonti che la
tecnologia e internet mettono a disposizione, ma anche partecipando
attivamente ad esse, diventando produttore di sapere in prima
persona.
Purtroppo, il mondo
del cibo, soprattutto in Italia, sembra impermeabile a questo cambio
di paradigma e continua a cullarsi su allori che, se non adeguati al
presente e non proiettati verso il futuro, si dissolveranno nel giro
di qualche anno.
Un po' a sorpresa, è
stato Slow Food a muoversi con coraggio. L'edizione 2016 di
Terramadre Salone del Gusto è stata infatti totalmente
diversa dalle diciannove precedenti. La rassegna non si è più
tenuta al Lingotto, 'luogo unico del sapere' dove negli anni scorsi
tutti andavano a 'imparare' qualcosa in fatto di cibo. L'evento è
invece diventato un happening diffuso in tutta la città di Torino.
Il Parco del Valentino, via Roma, piazza San Carlo, il Borgo
Medievale, la Reggia di Venaria, il Teatro Carignano, Palazzo Reale,
il quartiere multietnico di San Salvario e molte altre zone della
città sono diventate piccole fonti di sapere che ogni visitatore
poteva inserire nel proprio personale percorso. Insomma, ogni
visitatore ha potuto costruire un proprio network di saperi
attraverso la città, nella maniera teorizzata dal libro di Masiero &
C. In più, molti visitatori hanno anche preso parte all'evento in
maniera attiva, grazie a workshop e laboratori in cui hanno potuto
misurare lo stato del proprio rapporto con il cibo.
Insomma, mentre i
visitatori del lingotto erano ancora 'consumatori' o ancora peggio
'spettatori' all'interno dei padiglioni fieristici, i visitatori del
Salone diffuso si sono sentiti qualcos'altro. Non hanno pagato il
biglietto d'ingresso (a parte qualche iniziativa speciale) e hanno
partecipato in maniera più attiva (ma sul
ruolo attivo dei visitatori si può fare molto di più).
Slow Food ha,
ancora una volta, aperto una strada. Adesso tocca agli altri capire
che anche il cibo nei prossimi anni cambierà, e cambierà il modo in
cui gli esseri umani lo producono, lo lavorano, lo consumano, lo
comunicano e, cosa sempre più importante, lo smaltiscono.
Dimentichiamo le vecchie modalità lineari, e prepariamoci tutti ad
avere a che fare con logiche di rete, ruolo attivo del consumatore,
circolarità e benessere sociale. Il nuovo è già qui, prendiamo
tutti esempio dal Salone del Gusto 2016 e, perchè no, facciamo
ancora di più.
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